I misteri di Piero Amara intorno a Opl 245

26 Agosto 2021
Characters involved: Piero Amara Vincenzo Armanna Matthew Tonlagha

Tutte le trame intrecciate dall’avvocato siciliano che affiorano dal fascicolo sulla licenza esplorativa acquistata da Eni e Shell in Nigeria. E il suo rapporto ambivalente con l’imputato-accusatore della società italiana, Vincenzo Armanna.

di Lorenzo Bagnoli

Editing: Luca Rinaldi

Il 30 luglio 2021 la procura di Milano e il governo federale della Nigeria hanno presentato appello all’assoluzione con formula piena per tutti gli imputati del processo sulla vendita della licenza petrolifera Opl 245. Nell’aprile del 2011 Opl 245 è stata ceduta per dieci anni dalla Nigeria alle due compagnie petrolifere Eni e Shell.

 

La richiesta di appello è arrivata nonostante la guerra tra magistrati che sta consumando la procura di Milano, scaturita proprio in seguito dell’assoluzione in primo grado degli imputati del processo Opl 245. Rispondendo alle nostre richieste di commento, la società petrolifera di San Donato milanese ha dichiarato che la sentenza di assoluzione in appello con formula piena ottenuta dagli intermediari Emeka Obi e Gianluca Di Nardo ha accertato «in modo irreversibile i fatti e l’insussistenza di qualsivoglia elemento corruttivo nella vicenda OPL 245». «Tale sentenza – ha continuato Eni nella nota – ha messo la parola “fine” sui fatti, rendendo sostanzialmente inutile l’appello proposto dalla procura di Milano contro la sentenza di primo grado di assoluzione piena (con la formula “il fatto non sussiste”) di Eni stessa» e «dei suoi manager».

 

I due pm del caso Opl 245, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, sono stati indagati dai colleghi di Brescia per omissioni in fase di indagine. Insieme a loro, anche Francesco Greco, capo della procura di Milano in uscita a novembre 2021, e il sostituto procuratore Paolo Storari, coinvolto in un procedimento parallelo, detto del “complotto”: un castello di accuse indirizzate a personaggi di primo piano del mondo dell’oil&gas italiano e nigeriano che avrebbero voluto diffamare l’amministratore Claudio Descalzi per ottenerne la rimozione. Una macchinazione che in realtà era tesa solo a fermare il processo milanese.

L’innesco dello scontro in procura a Milano

In procura, lo scontro principale ha visto protagonisti proprio Paolo Storari e la procuratrice aggiunta Laura Pedio, molto vicina a Francesco Greco. I due nel 2017 avevano cominciato a indagare su un presunto depistaggio volto a sfilare l’indagine su Opl 245 alla procura di Milano, per consegnarlo invece nelle mani dei magistrati di Trani e Siracusa.

 

Una parte del processo milanese, quella sul depistaggio ai danni della procura di Milano, è ancora in corso, mentre a Siracusa e a Trani è stato assodato che i depistatori sono riusciti in passato ad accomodare alcune sentenze. Al vertice del gruppo c’era Piero Amara, avvocato siciliano che tra il 2002 e febbraio 2018 (secondo quanto dichiarato da Eni) è stato consulente legale esterno di manager e dipendenti di Eni. Piero Amara, al momento in carcere, tramite il suo legale non ha voluto rispondere alle nostre domande, in quanto i temi sono oggetto di indagini preliminari ancora in corso.

 

Ai magistrati Pedio e Storari, Piero Amara ha dichiarato di essere parte di una loggia segreta, la Loggia Ungheria, un presunto sistema di potere che aveva lo scopo di gestire nomine, anche interne alle procure e processi. Alcuni dei nomi dei suoi presunti esponenti sono stati pubblicati dal Fatto Quotidiano. Gli annunci di denunce per calunnia e le smentite arrivate al giornale hanno praticamente riguardato chiunque sia stato nominato in quei verbali. 

Da quando è apparso nelle cronache giudiziarie italiane, Piero Amara ha mischiato vero, falso e verosimile in dichiarazioni che hanno scompaginato procure e processi, compreso il procedimento Opl 245 e i suoi collegati. «Vengo arrestato a febbraio 2018 e vengono contestate due ipotesi di corruzione deboli che potevano essere affrontate nel corso della fase dibattimentali», spiegava Amara a Piazzapulita, su La7. «Sono stato a Regina Coeli cinque mesi, poi i domiciliari», aggiungeva, e dopo «una riflessione personale e morale» si è convinto a «collaborare con l’autorità giudiziaria». Qualche giorno dopo è stato poi arrestato una seconda volta, nel giugno 2021, per corruzione in atti giudiziari. E ancora la sua credibilità è ancora molto in dubbio. Che tra i suoi compiti ci fosse depistare, è stato lui ad ammetterlo all’inizio della collaborazione con la giustizia. 

 

«Come ho spiegato nell’ambito di una gestione naturalmente illecita dei fascicoli, io ritenevo e ritengo e sono in grado di dimostrare che avevo delle informazioni reali in un contesto sostanzialmente inventato», ha riassunto Amara a Report in un’intervista del 2019. Massimo Mantovani, capo ufficio legale dell’Eni licenziato a luglio 2019, sarebbe stato uno dei soci dei depistaggi di Amara tesi a proteggere l’azienda petrolifera nel corso del processo sulla Nigeria (tesi, questa, fermamente smentita dall’azienda che ha intrapreso anche azioni legali contro l’ex consulente). «La nomina del Procuratore di Milano è stata una delle vicende per le quali mi sono impegnato come associato di Ungheria nell’interesse di Eni», ha dichiarato ai magistrati milanesi nel dicembre del 2019. «Mi è stato anche riferito da [Michele] Bianco (dell’ufficio legale di Eni, ndr), mentre ero ancora in detenzione, che la [Paola] Severino attraverso [Nerio] Diodà (difensori di Claudio Descalzi ed Eni, ndr) aveva avvicinato il presidente del collegio giudicante (Marco Tremolada, ndr) del processo Opl 245 e che questo avrebbe garantito l’assoluzione entro il marzo 2020 e che il processo si sarebbe svolto velocemente. Non so dire se sia vero che sia stato avvicinato ovvero abbiano millantato; questo è quanto mi fu riferito». Accuse infamanti subito archiviate dalla procura di Brescia nell’ambito del procedimento che riguarda i magistrati milanesi. Durante il processo Opl 245, il collegio giudicante ha respinto la richiesta della pubblica accusa di sentire Piero Amara come teste. 

 

Le dichiarazioni di Amara ai magistrati milanesi hanno avuto un effetto dirompente sulla procura, ravvivando antichi contrasti. La prima spaccatura ha riguardato Storari-Pedio, i due magistrati incaricati di gestire l’indagine sul “complotto”: il primo spingeva per approfondire le dichiarazioni di Amara; la seconda voleva fare altri accertamenti prima di continuare a insistere negli interrogatori con Amara. Storari leggeva queste titubanze come una una ritrosia a iscrivere nel registro degli indagati nomi eccellenti della presunta loggia. Così il magistrato ha deciso di inviare i verbali (non firmati) a un consigliere del Consiglio superiore della magistratura, Piercamillo Davigo, perché valutasse il da farsi. Questa mossa gli è costata l’iscrizione al registro degli indagati a Brescia per rivelazione del segreto istruttorio. 

Una serie di menzogne

Amara è un personaggio insondabile. Al di là del proprio tornaconto, è difficile comprendere chi siano i suoi mandanti. A giudicare dai nomi di alcuni suoi ex soci e dalle sue frequentazioni, ha una rete di legami particolarmente solida con il mondo che gravita intorno a Matteo Renzi e Denis Verdini (in particolare Luca Lotti, che ha smentito, e Cosimo Ferri, deputato di Italia Viva), ma ha anche contatti con persone vicine al Pd. Il primo patteggiamento di Piero Amara con la giustizia risale al 2009:11 mesi per «accesso abusivo a sistema informatico» della Procura antimafia di Catania

 

Nel processo sul cosiddetto complotto per fermare il processo Opl 245, ci sono sostanzialmente due elementi che la procura di Milano doveva indagare: il primo riguarda l’esistenza di un complotto contro Descalzi, il secondo l’esistenza di un’attività di depistaggio per insabbiare il processo. La materia prima da lavorare per le indagini è la stessa: due documenti pressoché identici consegnati prima alla procura di Trani poi a quella di Siracusa allo scopo di far partire un’indagine in queste due procure. 

 

I due documenti, consegnati alle procure in Puglia e in Sicilia all’inizio del 2015, indicavano «l’esistenza di una associazione per delinquere che, con l’intento di destabilizzare i vertici dell’Eni Spa, e di sostituire l’allora ad Descalzi Claudio con Vergine Umberto, avrebbe posto in essere campagne stampa diffamatorie nei confronti dell’ad». Umberto Vergine è amministratore delegato di Saipem, società controllata al 30% da Eni, che proprio in quanto azionista (all’epoca principale) di Saipem è stata chiamata a giudizio nel 2010 nell’ambito del processo per corruzione internazionale in Algeria (società e manager sono stati tutti assolti)

 

L’attività di diffamazione, continua il falso report, sarebbe stata appoggiata dai membri indipendenti del consiglio di amministrazione Luigi Zingales e Karina Litvack, critici nei confronti delle norme anticorruzione dell’azienda. Stavano spingendo affinché alcune valutazioni sulla compliance aziendale fossero assegnate a consulenti esterni da Eni. Email diffamatorie con destinatari membri del consiglio di amministrazione della società e qualche giornalista circolavano almeno a partire da marzo 2014. Insieme a loro, il falso report indica due avvocati, Bruno Cova (avvocato di Shell nel processo Opl 245) e Luca Santa Maria (primo avvocato di Vincenzo Armanna nel processo Opl 245) come i tramiti attraverso cui contattare «appartenenti ai servizi segreti nigeriani ai quali sarebbe spettato il compito di inviare, ai componenti del Cda di Eni Spa (e non solo ad essi), e – mail anonime contenenti ipotesi calunniose ai danni di Descalzi Claudio».

 

Questa attività di dossieraggio sarebbe stata decisa in una riunione dell’estate 2014, a cui avrebbe partecipato tra gli altri Pietro Varone, manager di Saipem Algeria, licenziato dall’azienda sette mesi prima dell’arresto avvenuto nel luglio del 2013 (licenziamento ritenuto un anno dopo illegittimo dal tribunale del lavoro) che oggi, stando alla sua pagina Linkedin, lavora come consulente tra Africa e Medio Oriente. Sulle dichiarazioni di Varone si è basata una parte importante dell’accusa contro Saipem ed Eni. Il suo ruolo è paragonabile a quello di Vincenzo Armanna, l’altro imputato-accusatore del processo per la licenza Opl 245. Pietro Varone, infatti, «riferiva del coinvolgimento degli indagati Paolo Scaroni (all’epoca numero uno di Eni, ndr), Antonio Vella (top manager di Eni che nel febbraio 2020 ha lasciato Eni per entrare in Lukoil, ndr) e della società Eni Spa , nella vicenda oggetto del procedimento», si legge in un decreto di perquisizione del fascicolo sul complotto. Entrambi gli ex manager, Varone e Armanna, sono stati allontanati nel 2013 dalle proprie aziende ed entrambi, ciascuno a suo modo, non sono stati ritenuti credibili dai giudici. A settembre del 2017 Vergine, Litvack e Zingales sono stati archiviati a Milano per il reato di diffamazione.

L’incontro del 28 luglio 2014 e le relazioni con Armanna

I pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati iscritti nel registro degli indagati a Brescia (che indaga per i reati commessi dai magistrati di Milano) per la gestione di un elemento di prova nell’ambito del processo Opl 245: un video registrato da Piero Amara il 28 luglio 2014 attraverso una telecamera nascosta. Vincenzo Armanna ha dichiarato di essere a conoscenza dell’esistenza del video solo da aprile 2019. Dal fascicolo giudiziario si apprende che anche Eni a quella data era a conoscenza del video: l’azienda ne fa accenno in una risposta alla redazione di Report, in vista della messa in onda della puntata del 15 aprile 2019 intitolata “l’Amara Giustizia”.

Un fotogramma del video ripreso da una telecamere nascosta il 28 luglio 2014 presso gli uffici della società STI Spa a Roma. Nel fotogramma si vedono Piero Amara, di spalle, e Vincenzo Armanna, di fronte a lui.

L’immagine è fissa su una stanza con un arredo curioso e una scrivania sul fondo. È un locale della società STI Spa di Ezio Bigotti, imprenditore che farebbe parte dell’associazione a delinquere guidata da Piero Amara, successivamente arrestato nel febbraio del 2019 nell’ambito dell’indagine della procura di Messina sul sistema corruttivo di Amara. È quello che è passato nelle cronache giudiziarie come Sistema Siracusa, un sistema di potere parallelo, che aveva tra i suoi obiettivi condizionare la gestione degli appalti milionari di Consip, la stazione appaltante nazionale. 

 

Sul lato cieco è seduto Vincenzo Armanna, da poco licenziato dall’azienda (annota il tribunale nelle motivazioni); sul lato corto opposto, l’avvocato Piero Amara, allora consulente esterno di Eni. I due affermano di conoscersi da quell’estate del 2014. Seduti uno accanto all’altro, di fronte ad Armanna, ci sono Andrea Peruzy, manager pubblico e segretario della fondazione di Massimo D’Alema Italianieuropei e Paolo Quinto, esponente del Pd – anche lui vicino a Massimo D’Alema e Anna Finocchiaro. 

 

Secondo quanto Armanna ha dichiarato al giornalista Claudio Gatti e poi riportato nel libro Enigate, Peruzy e Quinto avrebbero presentato Amara ad Armanna proprio durante quell’estate del 2014. Armanna all’epoca era consulente di diverse aziende in Nigeria e voleva lavorare insieme alla Shoreline Natural Resources Limited, società dell’imprenditore nigeriano Kola Karim. Quest’ultimo, nominato più volte nella conversazione come KK, voleva aggiudicarsi grazie ad Armanna alcuni blocchi petroliferi secondari in Nigeria

 

Le licenze esplorative coprono sempre aree molto estese, che poi vengono ritagliate in aree di sfruttamento. Ci sono quelle principali, che producono moltissimo, e quelle secondarie. Queste ultime sono considerate spesso dalle società petrolifere poco redditizie. Lo Stato nigeriano, quindi, se ne riappropria e le riassegna ad aziende autoctone. La “proposta KK” perorata da Armanna sarebbe stata un’alternativa, al prezzo di 900 milioni di dollari. 

 

Secondo l’interpretazione del tribunale, «si evince che Armanna aveva interesse a “cambiare i capi della Nigeria” per sostituirli con uomini di suo gradimento ed essere così agevolato negli affari». Data la tensione con l’ex manager, infatti, Eni non avrebbe permesso che l’operazione si completasse, circostanza che poi si è effettivamente verificata: i blocchi marginali non sono finiti a Kola Karim. 

 

Nel libro Claudio Gatti ritiene di avere diversi indizi che facciano pensare a un coinvolgimento diretto di Vincenzo Armanna nella costruzione del falso “complotto”, in quanto parte della “cricca” legata ad Amara. Dal canto suo, Armanna replica che i contatti con Amara si sono del tutto interrotti dopo il primo arresto dell’avvocato siciliano, nel febbraio 2018, e si ritiene la principale vittima della trappola di Amara. 

 

Sull’omissione del video nel fascicolo del pm i giudici hanno mosso pesanti critiche nei confronti della procura. La pubblica accusa, infatti, non ha ritenuto necessario produrre il documento nell’ambito del processo, ritenenedolo l’ennesima prova della spacconeria di Armanna. Per altro, quando le difese nel luglio 2019 hanno sollevato il tema, «i pubblici ministeri, pur essendo stati informati dell’esistenza e del contenuto della videoregistrazione nell’ambito del doveroso coordinamento tra le indagini all’interno dell’ufficio […] non erano in possesso del documento». Al contrario, «alla data del 23 luglio 2019 il documento era indubitabilmente, da molto tempo, in possesso dei difensori», che infatti alla fine ne hanno ottenuto l’acquisizione. 

La «valanga di merda»

L’espressione al centro dello scontro giudici-pubblici ministeri è «valanga di merda», utilizzata da Armanna durante l’incontro. Ci sono due modi di intenderla: da un lato quello della procura, secondo cui era riferita a una serie di articoli usciti su Il Sole 24 Ore a firma di Claudio Gatti tra settembre e ottobre 2014 e un’intervista dello stesso Armanna a Carlo Bonini su Repubblica dell’ottobre 2014. L’interpretazione del tribunale invece, in linea con quanto sottolineato dalle difese, evidenzia come due giorni dopo l’incontro Armanna si sia presentato spontaneamente in procura per una dichiarazione spontanea. L’ex manager ha sempre dichiarato che nessuno sapeva del suo appuntamento al Palazzo di giustizia. 

 

È difficile stabilire con esattezza i confini della relazione tra Armanna e Amara, soprattutto da quando quest’ultimo ha iniziato a sciorinare i nomi dei presunti associati alla Loggia Ungheria sottraendosi poi alle domande dei giornalisti. Di certo Armanna ha incassato dei bonifici dalla STI Spa di Enzo Bigotti, imprenditore vicino ad Amara, a fine 2014 così come altrettanto certamente Piero Amara ha incassato commissioni dalla Fenog, società del settore petrolifero nigeriana per la quale lavorava Vincenzo Armanna. Per un certo periodo, quindi, i due hanno effettivamente lavorato insieme. Al di là di queste circostanze, non è chiaro però quali altri vantaggi reciproci abbiano avuto i due dalla collaborazione. 

 

Alla fine del dibattimento, è chiaro che Armanna sia ritenuto «inaffidabile» dal tribunale, mentre nell’appello i pm ribadiscono che questa valutazione, a loro avviso, è legata solo alla videoregistrazione del 28 luglio 2014. Sulla poca credibilità di certi passaggi, la stessa polizia giudiziaria aveva già per altro definito «evidenti discrasie» delle dichiarazioni di Armanna che non combaciavano già allora con quanto ritrovato nei computer dell’imputato

 

Al netto delle incongruenze fatte emergere da tribunale e polizia giudiziaria, un fatto resta: negli ultimi due minuti della registrazione video del 28 luglio 2014 si evince che l’ex manager Vincenzo Armanna non sapesse nulla della registrazione. Si è anche aperto uno scontro con Amara proprio in virtù di quella e altre registrazioni “rubate”. I due arriveranno a minacciarsi di morte a causa di altre registrazioni simili, come ha confermato nei suoi verbali lo stesso Amara.

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Prod. doc. PM ud. 5.2.2020 (decreto di perquisizione).pdf

Decreto di perquisizione emesso dalla procura di Milano ai danni di manager di Eni e Piero Amara

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Prod. doc. PM ud. 23.7.2019 (nota da Avv. Grosso e Diodà 6.3.17).pdf

Email in cui Armanna attacca il suo vecchio legale Santa Maria perché non cambia strategia sul processo

Video

Bissolati 29_07.avi

Il video del 28 luglio 2014 della conversazione tra Piero Amara, Vincenzo Armanna, Paolo Quinto e Andrea Peruzy

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Le risposte di Eni alla redazione di Report, aprile 2019

characters involved

Piero Amara
  • Role Ex consulente legale esterno di manager e dipendenti Eni
  • Italiana  nationality

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Vincenzo Armanna
  • Role Dipendente Eni fino al 2013, project leader nel corso delle trattative di Eni con Malabu e con il governo nigeriano
  • Born on 27 Febbraio 1972
  • Italiana  nationality

«Sono sposato, ho tre figli: 14, 12 e 5 anni, e lavoro essenzialmente per una società saudita, si chiama Taj Holding, lavoro nel settore dei trasporti e della logistica, quindi seguo alcuni degli appalti più grossi che questa società ha in Arabia Saudita». Si è presentato così Vincenzo Armanna, imputato… Read More

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Matthew Tonlagha
  • Role Imprenditore nigeriano della Fenog
  • Born on 24 Aprile 1945
  • italiana e nigeriana  nationality

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