Le trattative oltre Opl 245

9 Settembre 2021

In un anonimo foglio di agenda ritrovato dalla polizia svizzera c’è uno schema che allarga il perimetro delle trattative collegate a Opl 245. Conduce a nuovi personaggi che non sono stati indagati nel processo milanese e illumina alcuni aspetti del “complotto”.

di Lorenzo Bagnoli

Editing: Luca Rinaldi

Tra le migliaia di pagine del fascicolo processuale di Opl 245, ci sono diversi appunti manoscritti. Due di queste pagine sono state rinvenute dalla polizia svizzera durante una perquisizione nell’ottobre del 2015 all’ufficio di una società fiduciaria, avvenuta su richiesta della procura di Milano. A differenza di altri appunti, questi alla fine non sono stati discussi in dibattimento. Sono scarabocchi anonimi, in inglese, di cui la lettura è molto difficile, per quanto utile. L’unico dato che si conosce è che provengono dalla Emmgi, società fiduciaria impiegata da Gianfranco Falcioni a Lugano. Imprenditore dagli inizi degli anni Ottanta in Nigeria, Falcioni è anche viceconsole onorario della città di Port Harcourt, in una regione ricca di petrolio.

 

Da qui era stata aperta la Petrol Service Co Ltd, una società veicolo canadese costituita da Falcioni e dai suoi soci in seguito all’introduzione in Nigeria di una legge a tutela della manodopera locale. Questa precisazione, presentata a processo dalle difese, ha smontato la tesi accusatoria secondo cui Petrol Service era solo una scatola vuota costituita allo scopo di corrompere dei pubblici ufficiali in Nigeria. La società ha avuto vita breve, a cavallo tra il 2010 e il 2011. È rientrata nella vicenda Opl 245 in qualità di primo possibile escrow agent, cioè soggetto terzo a garanzia della transazione, tra il governo nigeriano e la Malabu Oil & Gas di Dan Etete, l’ex ministro del petrolio nigeriano. Petrol Service avrebbe dovuto girare il denaro pagato da Eni al governo nigeriano alla società di Etete. È stata un candidato “possibile” perché alla fine la banca prescelta, la Banca Svizzera Italiana, ha considerato l’operazione non conforme sotto il profilo dell’antiriciclaggio. Dan Etete, infatti, è pregiudicato per reati di questo genere: pesa sul suo nome una condanna del 2006 in Francia.  

 

Seppur “fallito”, questo schema aiuta a individuare certe relazioni tra i protagonisti delle trattative. Aiuta a capire le relazioni tra Falcioni e i manager di Eni, compreso Vincenzo Armanna, l’imputato le cui accuse non sono state giudicate attendibili dal collegio giudicante del tribunale di Milano. Uno dei motivi è legato proprio alle omissioni di alcune relazioni chiave, come quella con Falcioni. Questo schema illumina anche alcune vicende oscure dalle quali ha poi avuto origine il cosiddetto “complotto”. Ricordiamo che tutti gli imputati del processo Opl 245 sono stati assolti in primo grado con formula piena.

Lo schema

Gli appunti sono scritti su un’agenda da tavolo settimanale intestata a un’azienda del comasco. A sinistra si legge un elenco, suddiviso in quattro blocchi. Il primo rappresenta gli attori “istituzionali” della Nigeria: FGN, il governo federale della NIgeria; il ministero del petrolio, delle finanze e della giustizia. Un secondo blocco indica tutte le società del gruppo Shell che compaiono nell’accordo: la casa madre,  Shell Nigeria Ultra Deep (Snud); Shell Nigeria Exploration and Production Company Limited (Snepco) e Shell Petroleum Development Company of Nigeria (Spdc). Sotto c’è il gruppo Eni: casa madre con le due controllate nigeriane Nae e Naoc. Per ultimo, staccato è segnato Nnpc, Nigeria National Petroleum Corporation, la compagnia petrolifera di Stato nigeriana. È la controparte in ogni operazione petrolifera in Nigeria.

Una grossa parentesi graffa collega l’elenco a Malabu Oil & Gas, proprietaria della licenza petrolifera Opl 245. Tra parentesi è aggiunto “Oml 245”. Le Oml sono le licenze di mining, cioè di estrazione. Sono quelle che si negoziano finita la fase esplorativa per sfruttare un giacimento e iniziare a estrarre del greggio. Nello schema si legge che Opl 245, in una data scarabocchiata che inizia con “19”, ha un valore di 25 milioni di dollari. La licenza Opl 245 è stata assegnata la prima volta a Malabu nel 1998, poi tolta e riassegnata con il susseguirsi dei governi. La vicenda, per altro, è ancora oggetto di un procedimento giudiziario in Nigeria. Sotto a questa riga, si legge che la licenza nel 2011 ha un valore di 1.450 milioni di dollari, 1,45 miliardi. Alla cifra si arriva attraverso un’altra somma di altri tre valori: 1,092 miliardi di dollari (che in parentesi vengono attribuiti a Malabu); 207 milioni di dollari (che in parentesi vengono attribuiti al governo della Nigeria) e altri 140 milioni di dollari (che in parentesi vengono attribuiti a Snud). Queste cifre ricalcano esattamente quello che poi sarà l’accordo finale tra Eni, Shell e il governo per il pagamento di Opl 245.

Energy Equipment and Services e i vecchi contrasti con Eni

La parte più interessante dello schema, però, va cercata accanto a questi nomi di cui si è ampiamente discusso durante tutto il dibattimento. Il primo elemento è costituito da tre lettere, segnate accanto alla parentesi graffa, prima della parola Malabu: Ees. Questa sigla è ripetuta due volte, una di seguito all’altra, in due blocchi rettangolari. Ees sta per Energy Equipment and Services Ltd, una società che svolge appalti di manutenzione in Nigeria di proprietà di Falcioni. Fa parte della galassia di Alcon Nigeria, la principale azienda di Falcioni, che si occupa di logistica nel settore petrolifero. Ees non è toccata direttamente dall’operazione Opl 245. C’è tuttavia una coincidenza: a cavallo tra maggio e giugno del 2011 fallisce il tentativo di far passare gli 1,092 miliardi di dollari che il governo nigeriano vuole recapitare a Malabu attraverso Petrol Service, mentre il 20 giugno 2011 un’altra società di Falcioni, Ees, ottiene da Eni Nigeria un appalto per la manutenzione dell’ufficio di Abuja.

 

Come analizzato dalla Guardia di finanza, Alcon ha tra i suoi clienti principali anche Eni e Saipem. I rapporti con Eni sono burrascosi da tempo, come dice tra l’altro un ex manager di Falcioni in udienza. Secondo Vincenzo Armanna è stato scelto comunque il viceconsole onorario per perfezionare l’operazione non solo per scelta di Eni, ma anche in quanto figura gradita alla controparte nigeriana.

 

Tra le corrispondenze email nel fascicolo processuale, ce ne sono diverse tra i  manager di Eni e Alcon, anche per vicende che non riguardano direttamente Opl 245. Negli scambi – risalenti sempre a metà del 2011 – si percepiscono forti tensioni tra Falcioni e i manager Eni. L’imprenditore se la prendeva con Ciro Pagano, il principale manager di Eni in Nigeria, e, in un’altra mail di settembre con “Stefano”, ovvero Stefano Pujatti, collega di Pagano e di Roberto Casula, il manager più in alto per l’Africa occidentale. L’Alta Corte di Abuja, nell’ambito del suo processo nigeriano su Opl 245, ad aprile 2019 ha spiccato un mandato d’arresto per Pujatti e Casula. Pujatti invece non è stato indagato in Italia.

 

Falcioni ogni volta che doveva risolvere un problema con Eni, si rivolgeva ad Armanna, all’epoca ancora manager di Eni in Nigeria, con il quale si lasciava andare anche giudizi ed esternazioni. Falcioni era un’istituzione in Nigeria, vista la sua lunghissima permanenza nel Paese. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado si legge che l’unico contatto tra Eni e Petrol Service è stato sempre e solo Armanna. 

 

Anche secondo la Guardia di Finanza di Milano, incaricata delle indagini, le sue dichiarazioni sulla relazione con Falcioni «appaiono volutamente riduttive e reticenti» se confrontate con il materiale informatico sequestrato. L’ex manager di Eni, però, in udienza ha dichiarato di aver conosciuto Falcioni attraverso Roberto Casula e ha aggiunto di essere stato informato da Stefano Pujatti del fatto che Falcioni fosse beneficiario ultimo di Petrol Service. A quel punto, ha riferito Armanna, ha cercato di «mettere in piedi un’azione per impedire che questo bonifico avesse successo».

 

Il motivo: la banca scelta da Falcioni, BSI, «è una banca molto piccola, un bonifico da un miliardo è come mettere una nave da crociera nel lago di Bracciano. […] La cosa più grave è che la BSI era controllata dal gruppo Generali e nel consiglio di amministrazione del gruppo Generali c’era il dottor Scaroni». Per Armanna la presenza del collegamento con Paolo Scaroni era «un rischio reputazionale gigantesco» per Eni. Prosegue: «Lo schema era nuovamente sbagliato perché era una banca riconducibile alla sfera degli italiani e direttamente in un qualche modo influenzabile dall’amministratore delegato dell’Eni, quindi era un’operazione assolutamente inaccettabile». Su questa vicenda non ci sono stati ulteriori chiarimenti, in aula. A prescindere dall’intervento di Armanna, è certo comunque l’operazione con BSI sia saltata perché la banca non ha ritenuto che rispettasse le norme antiriciclaggio.

Il lato destro dell’appunto

Torniamo allo schema. Sull’estremità destra del manoscritto, accanto al valore della licenza esplorativa nel 2011, l’autore anonimo ha disegnato due frecce che riportano una a Eni e una a Shell, proprietarie al 50% di Opl 245. In mezzo a loro un’altra sigla: Fpso. È un acronimo inglese che sta per unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico. In pratica è la nave collegata alla piattaforma petrolifera, usata per stoccare il greggio: un investimento fondamentale per rendere produttivo un pozzo.

Anche in questo caso è un mistero perché appaia in uno schema che sintetizza le parti in causa per il negoziato sulla licenza di prospezione.

Una freccia collega la parola Fpso a due stime del valore: 10 miliardi e 60 miliardi. Si tratta presumibilmente di dollari. La prima si riferisce all’unità galleggiante, la seconda al pozzo. È Vincenzo Armanna, nell’udienza del 23 luglio 2019, a ricordare di aver riportato questa stima anche all’incontro con l’avvocato siciliano ed ex consulente legale esterno di manager e dipendenti Eni Piero Amara del 28 luglio 2014: « […] Io ho parlato di 10 miliardi di investimento che l’Eni e la Shell avrebbero dovuto fare, il blocco più grande per questo sviluppo è una nave, una FPSO».

 

La gara per trovare un fornitore dell’unità galleggiante è stata bandita due volte, una prima nel 2016 e una seconda nel 2017. Data l’offerta, sulla carta sembrava certo che se la aggiudicasse Saipem, in joint venture insieme a l’olandese Blue Water: il consorzio con la società controllata da Eni avrebbe permesso un risparmio di circa 2 miliardi di dollari. Per altro a bandire la gara era proprio Eni Nigeria. «Sostanzialmente aveva vinto la Saipem, con un’offerta di circa 5,3 miliardi…», stava spiegando Armanna sempre durante l’udienza del 23 luglio 2019, prima di essere interrotto. Di questa informazione si trovano riscontri nella stampa locale nigeriana dell’epoca.

Tuttavia quel «sostanzialmente» è cruciale: come ha riportato il giornale La Verità nel dicembre del 2018, Saipem e Blue Water sono in realtà state estromesse dall’ultima gara di cui abbiamo notizia, quella del 2017, forse perché garantivano meno lavoro ai locali. C’era quindi un problema con i criteri nigeriani delle gare di subappalto per lavori di quel genere. Nel giugno 2018 un gruppo anticorruzione nigeriano, Gmac, ha scritto una lettera aperta al presidente nigeriano Mohamed Buhari per chiedere che su questa procedura di affidamento si aprisse un’inchiesta in Nigeria. Le ultime informazioni sull’esito della gara per la Fpso Eni le ha fornite nel 2019, rispondendo alle domande durante l’assemblea degli azionisti: la gara, all’epoca, era ancora in corso. Non ci sono novità che Eni può condividere, scrive l’azienda in una nota di risposta alle nostre domande, «in ragione degli obblighi di confidenzialità richiesti dallo svolgimento del procedimento arbitrale» che la società ha aperto a Washington contro il governo della Nigeria.

 

Secondo le offerte presentate nel 2017, c’erano due alternative a Saipem, di cui la più accreditata era ritenuta quella presentata da Bumi Armada, società malese, insieme a Century Group. Quest’ultima è nigeriana e appartiene al nipote di Dan Etete, Ken, beneficiario di parte dei soldi che il governo nigeriano ha versato a Malabu e poi a una serie di altre società e persone. In piena fase di negoziati, in email interne di Shell alcuni consulenti della società anglo olandese adombrano anche l’ipotesi che Ken possa essere vicino, non è chiaro in che modo, alla società di Emeka Obi, uno dei mediatori che ha cercato di trarre profitto dal negoziato per Opl 245. 

 

Da fonti stampa, risulta che la sua azienda sia l’unica nigeriana a possedere due Fpso. L’altra è impiegata, dal 2016, per stoccare greggio estratto dai giacimenti che si trovano all’interno di un’altra licenza, la Oml 119. Qui dal 2000 Eni ha un contratto di servizio insieme alla società petrolifera nazionale nigeriana. È un’altra storia rispetto a quella di Opl 245, eppure i protagonisti sono sempre gli stessi e i tempi dei negoziati coincidono con quelli della licenza incriminata.

Come ha ricordato nell’arringa difensiva l’avvocata Paola Severino, legaledi Claudio Descalzi, quella licenza è infatti stata al centro degli incontri tra il presidente nigeriano Goodluck Jonathan e Paolo Scaroni nell’agosto 2010, molto più di Opl 245. In una mail dell’aprile 2011, il manager Roberto Casula aveva informato lo stesso Claudio Descalzi (il quale a sua volta ha inoltrato il messaggio al numero uno Paolo Scaroni) della discussione tra lo stesso Casula e Goodluck Jonathan a febbraio 2011, allo scopo, tra le altre cose, di estendere il «Service Contract a tutta l’area della OML 119». La produzione del blocco Oml 119 avrebbe inoltre permesso il raddoppio dell’impianto elettrico di Okpai, nello Stato meridionale del Delta, che sarà poi affidata a dicembre 2018 proprio a Saipem e Fenog Nigeria, società nigeriana attiva nel settore della posa dei tubi per il settore petrolifero. Il presidente di quest’ultima è Matthew Tonlagha, imprenditore nigeriano che è in strette relazioni con Armanna (quest’ultimo lo definisce un amico e nelle email si chiamano “brother”, fratello). «I rapporti di appalto tra la controllata del gruppo Eni in Nigeria e la Società Fenog – replica l’ufficio stampa di Eni in una nota – sono stati interrotti prima di giugno 2019. Fenog è stata anche da tempo cancellata dall’albo dei fornitori del gruppo. Pende un arbitrato di Eni contro Fenog per la restituzione ad Eni di rilevanti somme non dovute».

Tonlagha è stato anche a Roma nel novembre del 2014: secondo quanto riferito da Piero Amara, interrogato dagli inquirenti, avrebbe dovuto incontrare uno dei top manager di Eni, Claudio Granata, insieme a Vincenzo Armanna, per farsi pagare degli arretrati. «La materia è tuttora coperta da segreto istruttorio e non comprendiamo da quale fonte abbiate potuto attingere le informazioni di cui chiedete», è la risposta di Eni. La nostra fonte è il decreto di perquisizione  ai danni di Piero Amara che si trova depositato nel fascicolo. La società poi precisa: «Eni e Claudio Granata, in ogni caso, escludono nella maniera più tassativa di avere mai preso parte ad incontri siffatti» e ricordano della denuncia presentata da azienda e manager «compreso Claudio Granata, per le dichiarazioni calunniose rese in più ambiti di indagine». Inoltre da luglio 2019 Eni ha in cors una «causa civile contro Piero Amara per i danni alla propria reputazione, causa che è tuttora in corso».

L’incontro con Granata è stato smentito di recente dagli elementi emersi durante l’inchiesta di Brescia a carico di Paolo Storari, il pm incaricato di seguire l’inchiesta sul “complotto”, riporta il Corriere della Sera. Resta tuttavia il fatto che proprio nel 2014 Fenog aveva concluso dei lavori per conto di Eni Nigeria. Dopo essere stato licenziato da Eni, Armanna ha lavorato spesso con Fenog, in particolare negli anni tra 2014 e 2015


Il 15 giugno 2021 il Corriere della Sera ha scritto che Tonlagha è stata interrogato dalla pm milanese Laura Pedio, titolare del fascicolo sul “complotto”. Secondo quanto risulta al Corriere, Armanna avrebbe anche cercato di “indottrinare” Tonlagha in merito sia alle domande che gli sarebbero state poste, sia in merito alle risposte da fornire. L’ipotesi della procura è che Armanna stesse cercando di farsi pagare per ritrattare le sue iniziali accuse nei confronti della società proprio attraverso le consulenze in Fenog. Anche Amara, stando alle sue dichiarazioni, avrebbe iniziato a fare affari con Fenog grazie ad Armanna.

Il “barone” del petrolio

Prima di Fenog e Century Group, lo sviluppo della centrale di Okpai e la gestione della Fpso del pozzo Oml 119 erano affidate a un altro imprenditore nigeriano-statunitense: Kase Lawal. I suoi investimenti a Okpai risalgono alla prima fase del progetto, nel 2010, mentre la gestione della Fpso si è interrotta a causa della bancarotta della società che la gestiva. I problemi di quest’ultima, per altro, erano cominciati a seguito di un contenzioso aperto da Eni dopo la cessione dei diritti estrattivi di altri due pozzi, nel 2012. Kase Lawal è uno dei “finti cospiratori” contro Claudio Descalzi. Lawal sarebbe stato in contatto con un socio di Amara per un traffico di pietre preziose che sarebbe dovuto avvenire a Siracusa. Una storia falsa, ma verosimile, dati i precedenti di Lawal: nel 2012 è stato coinvolto in un traffico di pietre preziose tra Repubblica Democratica del Congo, Kenya e Stati Uniti, insieme all’ex giocatore dell’Nba Dikembe Mutombo, proprio nativo della Rdc. Lawal sarebbe stato a conoscenza del fatto che a beneficiare dell’acquisto dei diamanti sarebbe stato Bosco Ntaganda, guerrigliero congolese sotto sanzioni Onu. Proprio il gruppo di esperti delle Nazioni Uniti sul Rdc è stato il primo a individuare questo caso, per cui Lawal e le sue società nel 2016 sono stati condannati a risarcire una società di noleggio aerei a cui è stato sequestrato il velivolo perché impiegato in questo traffico


Kase Lawal è stato un personaggio molto influente prima di questa fase discendente. È stato consulente dell’amministrazione Obama nel 2010, molto amico di Jacob Zuma in Sudafrica e ha in gestione importanti licenze petrolifere anche in altri Paesi dell’Africa occidentale. Diverse inchieste giornalistiche legano la sua scesa al periodo in cui al potere in Nigeria c’era il predecessore di Goodluck Jonathan, Umar Yar’adua, deceduto nel 2010. Accostato alla figura di Yar’Adua c’è un altro “finto cospiratore”: Gabriele Volpi. Il cerchio si chiude.

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Prod. doc. PM ud. 5.2.2020 (decreto di perquisizione)

Decreto di perquisizione emesso dalla procura di Milano ai danni di manager di Eni e Piero Amara

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Prod. doc. PM ud. 23.7.2019 (nota da Avv. Grosso e Diodà 6.3.17)

Email in cui Armanna attacca il suo vecchio legale Santa Maria perché non cambia strategia sul processo

VIDEO

Bissolati 29_07

Il video del 28 luglio 2014 della conversazione tra Piero Amara, Vincenzo Armanna, Paolo Quinto e Andrea Peruzy

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Le risposte di Eni alla redazione di Report - Report - Rai 2

Le risposte di Eni alla redazione di Report, aprile 2019

characters involved

Vincenzo Armanna
  • Role Dipendente Eni fino al 2013, project leader nel corso delle trattative di Eni con Malabu e con il governo nigeriano
  • Born on 27 Febbraio 1972
  • Italiana  nationality

«Sono sposato, ho tre figli: 14, 12 e 5 anni, e lavoro essenzialmente per una società saudita, si chiama Taj Holding, lavoro nel settore dei trasporti e della logistica, quindi seguo alcuni degli appalti più grossi che questa società ha in Arabia Saudita». Si è presentato così Vincenzo Armanna, imputato… Read More

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Gianfranco Falcioni
  • Role Imprenditore e viceconsole onorario dell’Italia a Port Harcourt, nel sud della Nigeria
  • Born on 14 Aprile 1945
  • italiana e nigeriana  nationality

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Gabriele Volpi
  • Role Imprenditore in Nigeria dall’inizio degli anni Ottanta, con importanti agganci nella politica nigeriana
  • Born on 29 Giugno 1943
  • italiana e nigeriana  nationality

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